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Il Software è un’Opera dell’Ingegno: Cass. Terza Sezione Penale, Sentenza n. 3024/2024

La Corte di Cassazione ha chiarito che per il reato di duplicazione abusiva di software non è più necessario il “fine di lucro”, ma è sufficiente il “fine di profitto”, inteso anche come vantaggio non economico. La sentenza riguarda la duplicazione di 845 programmi da parte di una società, con implicazioni importanti per la tutela del software.

Il software rientra, pacificamente nell’ambito della tutela autoriale disciplinata dalla L.633/1941 a fronte del suo espresso inserimento nell’elenco di cui all’art.2 operata con il D.Lgs. 518/1992 che costituisce il primo riconoscimento di tutela normativa del Software in Italia.

È poi intervenuta la Legge 747/1994 che ha ratificato gli accordi TRIPs – Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights ed infine con la L. 248/2000 sono stati apportati ulteriori modifiche alle disposizioni relative alle sanzioni civili e penali a tutela del software.

In particolare, Il testo originario dell’art.171 bis (reato di abusiva duplicazione e detenzione di programmi informatici) è stato modificato dalla L.248/2000 che ha sostituito il requisito del “fine di lucro”, con la diversa e più ampia espressione “per trarne profitto”.

Abusiva duplicazione e fine di profitto

Con la sentenza in commento (Cass. Terza Sezione Penale sentenza 24 gennaio 2024, n. 3024) gli Ermellini hanno confermato per la configurabilità del reato di abusiva duplicazione e detenzione di programmi informatici che non sia più richiesto il fine di lucro, bensì l’accertamento del più ampio fine di profitto. L’imputato, legale rappresentante di una società di recruiting, era stato condannato nei precedenti gradi di abusiva duplicazione e detenzione di 845 programmi informatici, sequestrati sui computer aziendali privi di regolare licenza ed impiegati nei corsi di riqualificazione dei lavoratori. Richiamando un recente intervento delle Sezioni Unite, secondo le quali nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato deve essere inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall’autore (Cass. pen., Sez. Un., 25 maggio 2023, n. 41570), è stato riconosciuto come il fine di profitto non debba essere limitato all’accezione restrittiva di risparmio di spesa derivante dal mancato acquisto o abbonamento del software abusivamente duplicato, ma più ampiamente inteso

nella possibilità, per la società, di stare nel mercato in virtù della completezza della sua dotazione strutturale e, pertanto, continuare a godere dei finanziamenti pubblici che potevano garantirne il funzionamento e l’esistenza”.